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Contributo di solidarietà: illegittimo senza legge

Con l’Ordinanza n. 68/2025 (Civile, Sez. L), la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una cassa previdenziale, confermando l’illegittimità del contributo di solidarietà prelevato sulle pensioni in assenza di una specifica norma di legge. La Corte ribadisce che le casse non possono imporre prestazioni patrimoniali in virtù della loro sola autonomia regolamentare. Viene inoltre confermata la prescrizione ordinaria decennale per le azioni di riliquidazione della pensione.

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Il Contributo di Solidarietà sulle Pensioni: La Cassazione Conferma l’Illegittimità

Le casse previdenziali private possono imporre autonomamente un contributo di solidarietà sulle pensioni dei propri iscritti? A questa domanda, la Corte di Cassazione ha risposto con un netto e definitivo ‘no’. Con la recente Ordinanza n. 68 del 2025, la Sezione Lavoro ha ribadito un principio fondamentale: nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta ai cittadini senza una specifica previsione di legge. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale a tutela dei pensionati e definisce chiaramente i limiti dell’autonomia degli enti previdenziali.

I Fatti del Caso: La Controversia sul Prelievo Pensionistico

La vicenda nasce dall’azione legale di un professionista in pensione contro la propria Cassa di Previdenza. L’ente aveva operato per anni delle trattenute sui ratei pensionistici a titolo di ‘contributo di solidarietà’, basandosi su proprie delibere interne. Il pensionato, ritenendo tali prelievi illegittimi, si è rivolto al Tribunale, che gli ha dato ragione. La decisione è stata poi confermata dalla Corte d’Appello territoriale, la quale ha specificato che l’imposizione di un simile contributo, avendo natura di prestazione patrimoniale imposta, rientra nella ‘riserva di legge’ prevista dall’art. 23 della Costituzione e non può derivare dalla sola autonomia regolamentare della Cassa.

L’Autonomia delle Casse e i Limiti del contributo di solidarietà

Nonostante le due sentenze sfavorevoli, la Cassa Previdenziale ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo, in sintesi, tre motivi:

1. Legittimità delle proprie delibere: La Cassa riteneva che la sua autonomia gestionale e regolamentare, sancita dalla legge di privatizzazione (D.Lgs. 509/1994 e L. 335/1995), fosse sufficiente a giustificare l’introduzione del contributo.
2. Applicabilità di norme successive: In subordine, chiedeva che il contributo fosse ritenuto valido almeno per il biennio 2012-2013, in base a una normativa emergenziale.
3. Prescrizione breve: Contestava la prescrizione decennale riconosciuta dai giudici di merito, invocando quella quinquennale, più breve, tipica dei ratei pensionistici.

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, in quanto basato su argomentazioni già ampiamente smentite dal suo consolidato orientamento giurisprudenziale.

La Decisione della Corte: La Riserva di Legge è Invalicabile

La Suprema Corte ha smontato punto per punto le tesi della Cassa, ribadendo principi cardine del nostro ordinamento.

Il cuore della motivazione risiede nell’art. 23 della Costituzione: nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. Il contributo di solidarietà rientra pienamente in questa categoria. L’autonomia concessa alle casse privatizzate permette loro di modificare le aliquote contributive o i coefficienti di calcolo delle pensioni per garantirne la stabilità, ma non di introdurre prelievi ‘ex novo’ su prestazioni già maturate e quantificate. Si tratta di un limite invalicabile che protegge il patrimonio dei cittadini da imposizioni arbitrarie.

Prescrizione Decennale per la Restituzione delle Somme

Anche sul tema della prescrizione, la Cassazione ha fatto chiarezza. Il termine di prescrizione di cinque anni (art. 2948, n. 4, c.c.) si applica ai singoli ratei di pensione non pagati, quando il loro ammontare è certo e definito (liquido ed esigibile).

Nel caso in esame, però, la contestazione non riguardava il mancato pagamento di un rateo, ma l’errato calcolo della pensione a monte, a causa della trattenuta illegittima. L’azione del pensionato era quindi volta a ottenere la ‘riliquidazione’ del trattamento, ossia il suo ricalcolo corretto. Questo diritto, secondo la Corte, è soggetto alla prescrizione ordinaria di dieci anni (art. 2946 c.c.).

Conclusioni: Implicazioni per Pensionati e Casse Previdenziali

L’ordinanza n. 68/2025 è un’importante conferma a tutela dei diritti dei pensionati. Le implicazioni pratiche sono significative:

* Per i Pensionati: Chi ha subito o subisce trattenute simili può agire in giudizio per ottenerne la cessazione e la restituzione delle somme versate negli ultimi dieci anni.
* Per le Casse Previdenziali: Viene ribadito che la loro autonomia non è illimitata. La sostenibilità dei bilanci deve essere perseguita con gli strumenti previsti dalla legge (es. variazione di aliquote e coefficienti), senza ricorrere a prelievi privi di una base normativa primaria.

La Corte ha inoltre condannato la Cassa a pagare non solo le spese legali, ma anche un’ulteriore somma a titolo di sanzione per aver proposto un ricorso palesemente infondato, un monito a non insistere in liti contro principi di diritto ormai consolidati.

Una Cassa Previdenziale può imporre un ‘contributo di solidarietà’ sulle pensioni con una propria delibera?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che un tale contributo è una prestazione patrimoniale imposta e, come tale, richiede una base legale specifica (principio di riserva di legge, art. 23 Cost.). L’autonomia regolamentare delle casse non è sufficiente.

Qual è il termine di prescrizione per richiedere la restituzione dei contributi di solidarietà illegittimamente trattenuti?
Il termine è di dieci anni. La richiesta non riguarda singoli ratei non pagati (soggetti a prescrizione di 5 anni), ma la rettifica del calcolo della pensione (riliquidazione), che rientra nella prescrizione ordinaria decennale.

Cosa significa quando la Cassazione dichiara un ricorso ‘inammissibile’ per contrarietà a un orientamento consolidato?
Significa che il ricorso viene respinto senza un’analisi approfondita del merito, perché le questioni sollevate sono già state decise in modo costante e uniforme dalla stessa Corte in passato e il ricorrente non ha fornito nuovi e validi argomenti per giustificare un cambio di indirizzo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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